Homo Selvadego
A Sacco, nella “camera picta” del piccolo museo dell’Homo Selvadego, si trova affrescata una delle più belle rappresentazioni di questa figura mitologica, diffusa in tutto l’arco alpino.
L’Uomo è rappresentato col corpo peloso e la barba fluente e con in mano un nodoso bastone e si presenta attraverso una sorta di fumetto “Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ge fo pagura". Questo personaggio è un simbolo della cultura contadina alpina e questo trova conferma anche nella scelta di una delle Tre Leghe Grigie, quella delle Dieci Giurisdizioni, di porre l'uomo selvatico nel proprio stemma, perché rimanderebbe agli albori del carattere nazionale retico.
La storia delle valli alpine è contrassegnato da un rapporto molto intenso con la natura e con la montagna. Lo spazio abitato, vissuto come spazio sacro, viene contrapposto al bosco, all'incolto, ai sentieri pericolosi, all'alta montagna e proprio qui, in questo spazio posta fuori dal controllo dell'uomo, vive l'Homo Selvadego.
Sono diverse le leggende dell’area orobica valtellinese e della valle di Poschiavo che fanno riferimento a quest’Uomo, sempre definito come un contadino o un allevatore rude e forte che vive isolato sulla montagna e si ciba del latte di una vacca e di qualche capra e di un po' di farina e di patate; viene descritto come personaggio eccentrico, ma innocuo, anche se molti lo temevano.
Con ogni probabilità l'uomo selvatico rimanda alla religiosità precristiana alpina che aveva tra i suoi numi anche Silvano, divinità antica dei boschi dalla natura selvaggia, figura mitologica dai tratti molto simili al nostro uomo delle Alpi.
La tradizione dell'uomo selvatico è anche molto legata alla vita degli allevatori e alla lavorazione casearia: anche se a volte si diverte a tirare brutti scherzi agli alpigiani, si racconta che sia stato proprio l'uomo selvatico, forse per un bisogno di fraternizzare con gli uomini, a insegna loro i mestieri dell’allevamento e della lavorazione del latte di cui è maestro.
Analogie con l'esempio di Sacco si riscontrano ad Oneta (S. Giovanni Bianco) in provincia di Bergamo, dove, nella cosiddetta “casa di Arlecchino”, si trova una quattrocentesca camera picta con dipinta all'ingresso una figura di uomo coperto di pelo, con un bastone (sec. XVII).
In Valtellina altre raffigurazioni dell'uomo selvatico si possono vedere sulla Porta poschiavina a Tirano e a Palazzo Besta a Teglio, probabilmente derivate dal simbolo della Lega delle Dieci Giurisdizioni.
Il Museo dell'Homo Selvadego è aperto regolarmente d'estate, ma è possibile accordarsi per una apertura fuori stagione a richiesta chiamando l'Info point della Valgerola a questo numero:
+39 393 864 42 23